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"Se ho potuto vedere più lontano degli altri... è perché sono salito sulle spalle dei giganti".

Isaac Newton




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giovedì 10 aprile 2014

Anche la Carrozza da ragione a Rete Ricerca Pubblica


Anche l'ex Ministro della Ricerca ammette:
  • la necessità di una revisione organizzativa degli Enti Pubblici di Ricerca,
  • l'urgenza di superare il meccanismo delle Piante organiche negli EPR, che abbiamo chiesto anche nella nostra Audizione in Senato.
  • la necessità di riorganizzare il mondo degli EPR anche per limitare il sistema delle  Vigilanze inaccettabili "la ricerca non può essere gestita da burocrati."


Un nuovo passo per la #ricerca pubblica


Un giovane ricercatore mi ha raccontato che nel rinnovare la carta d’identità è stato in seria difficoltà nel dichiarare il proprio mestiere, apparentemente non riconosciuto formalmente dalla burocrazia dello stato. Paradossalmente “ricercatore” è ancora una professione non riconosciuta, invisibile. Non esiste nemmeno un comparto della ricerca nella pubblica amministrazione e si applicano regole e criteri che non possono essere adatti a questo mondo. In un mondo che va velocissimo obblighiamo gli enti di ricerca a utilizzare strumenti come quello della ‘pianta organica’, che blocca quei processi di adattamento necessari ad una continua competizione internazionale. E’ come chiedere di correre la Formula 1 con una cinquecento. Eppure il ricercatore è il mestiere più progressista che c’è: sempre in movimento, sfida continuamente le verità acquisite, il dogmatismo. Per loro quello che ieri era sicuro, non lo è più oggi, con la certezza che verrà sicuramente modificato in futuro.
Addirittura per il biologo e filosofo francese Jean Rostand, la ricerca scientifica è la sola forma di “poesia” che sia retribuita dallo Stato.
E noi, nonostante tutto, abbiamo buoni “poeti”. Infatti su Nature, la più diffusa e nota rivista scientifica al mondo, i nostri ricercatori vengono definiti “pochi ma buoni”: negli ultimi dieci anni la qualità media degli articoli scientifici pubblicati da ricercatori italiani, misurata attraverso il numero di citazioni, è costantemente aumentata.
Ma la prosa della realtà è molto aspra per i ricercatori che contribuiscono a migliorare le nostre vite in tutti i campi del sapere umano, con enormi difficoltà burocratiche, una vita precaria e ampie sacche di conservatorismo. In realtà la ricerca serve eccome: al progresso, a costruire il nostro futuro ed a creare i presupposti perché il nostro rimanga un paese manifatturiero.
Ma per rilanciare la ricerca in Italia occorre pensare ad una riforma radicale del sistema pubblico, in modo da allineare il nostro paese alle buone pratiche europee e internazionali.
Sfruttiamo questo momento di riforme e di revisione della spesa pubblica per parlare anche degli enti pubblici di ricerca. Spending review non deve essere sinonimo di tagli, ma di una migliore comprensione di come spendiamo, di come investiamo e di come possiamo migliorare la gestione delle esigue risorse messe in campo per la ricerca dando alla politica, al governo e al parlamento gli strumenti per programmare, finanziare e utilizzare al meglio i risultati della ricerca.
Come potremmo affrontare altri tagli se gli investimenti in ricerca sono indietro rispetto alla media europea? Siamo ancora fermi all’1,26% del PIL, lontano dall’obiettivo di raggiungere l’1,53% del Pil per il 2020.
In attesa di una forte volontà politica che possa aumentare fondi e risorse, abbiamo il dovere di riorganizzare tutto il settore degli enti pubblici di ricerca, rendendoli più integrati, più efficaci, collaborativi e di respiro internazionale. L’attuale organizzazione degli enti pubblici di ricerca, dispersi negli uffici dei vari ministeri ‘vigilanti’, nascosti sotto sigle dai nomi esotici e con acronimi impossibili da sciogliere, non può essere funzionale al ruolo fondamentale che essi devono svolgere al servizio del governo e del paese.
Il modello di organizzazione non può che essere quello di consigli di ricerca tematici, su temi strategici, raccolti in un sistema gestito da una agenzia nazionale delle ricerche che provveda alla programmazione, al finanziamentoe al monitoraggio delle attività. L’agenzia deve essere dotata di consiglieri scientifici e di personale qualificato con alto profilo internazionale: la ricerca non può essere gestita da burocrati.
Se la politica non esercita la sua funzione d’indirizzo in modo trasparente, la ricerca frammentata rischierà di essere controllata da qualche capo dipartimento dei ministeri e non riuscirà a ritrovare la funzione ideale di sostegno allo sviluppo scientifico del paese.
Dobbiamo sciogliere il legame con il singolo ministero vigilante, per abbracciare un modello più orizzontale di gestione che possa portare ad una maggiore autonomia e capacità di sviluppo.
In questo nuovo contesto il Piano Nazionale della Ricerca (PNR) deve essere considerato il documento principale per la definizione del nostro progresso economico, sociale e tecnologico. Per questo deve essere un atto del governo e influire su tutti gli altri enti pubblici, che a loro volta devono dare contributi e pareri, in un ambiente di forte condivisione e collaborazione.
Una nuova organizzazione degli enti pubblici di ricerca è uno strumento essenziale per un nuovo modello economico basato sulla conoscenza e sul capitale umano, l’anello di congiunzione tra lavoro e sapere.
Il progresso scientifico è il risultato dell’azione di ricercatori “ribelli” che sfidano lo status-quo dei saperi consolidati e portano avanti la scienza. Una politica della ricerca deve dare a questi “ribelli della conoscenza” gli strumenti per avere l’autonomia necessaria per inseguire con passione le proprie sfide.  Per questo avevo definito il 2014 l’anno dei giovani ricercatori, cercando di porre un freno alla tremenda emorragia di talento che costringe molti italiani a spostarsi all’estero o peggio ancora, all’abbandono del perseguimento dei propri sogni."

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